VIE FERRATE D’AVVENTURA

VIE FERRATE D’AVVENTURA: UNA STORIA LUNGA PIU’ DI 150 ANNI

Testo di Andrea Magnani (AE)

L’arrivo dell’estate alimenta quello spirito di libertà che stimola ad intraprendere vie più difficili, escursioni più lunghe, emozioni più intense. Lo scioglimento delle nevi invernali porta con sé la possibilità di praticare quote superiori, anche se l’inverno appena trascorso è stato molto ricco di precipitazioni nevose, pertanto molte vie potrebbero rimanere inaccessibili fino a tarda stagione, attenzione!
E’ proprio in questo ambito che si muovono gli amanti delle vie ferrate, o del cosiddetto Escursionismo Avanzato, previa catalogazione da parte degli organi ufficiali che sempre più si ingegnano nella classificazione di vie e sentieri: rimane da capire se sia sempre possibile ed affidabile una classificazione di tale tipo.
Le vie ferrate storicamente nascono verso la metà del 1800 in Austria. La spinta che portò alla creazione dei primi tratti attrezzati era la stessa di quella odierna: rendere accessibili cime altrimenti irraggiungibili per molti, creando vere e proprie vie di ascensione. Si trattava di consentire ai “turisti” l’accesso a terreni che sarebbero diversamente rimasti terreno di chi pratica alpinismo.
La prima via ferrata fu realizzata dal DÖAV (Deutcher und Österreischer Alpenverein, Club Alpino Tedesco ed Austriaco) nel 1843(!) lungo la via normale di ascensione all’Hocher Dachstein (2.925m) in Austria. Successivamente furono attrezzate altre ascensioni sempre ad opera del DÖAV, con la contemporanea costruzione di rifugi e nuovi sentieri. In quest’ottica gli alpinisti viennesi furono i veri “inventori” delle ferrate moderne: resero possibili ascensioni difficili con l’aiuto di funi d’acciaio, chiodi e scale a pioli (una loro “specialità”).
Erano gli anni tra il 1869 ed il 1880.
In Italia i primi tratti attrezzati vennero realizzati nello stesso periodo nel massiccio del Brenta per rendere “accessibile anche ai Signori” la Bocca di Brenta (ciò creò diverse preoccupazioni tra le guide alpine dell’epoca: la questione di preservare il dominio degli scalatori non rendendo accessibili le grandi cime era sentita, allora come oggi).
Ad opera del DÖAV nel 1896 vennero attrezzati i primi tratti di quella che diventerà (grazie alla SAT) la Via delle Bocchette, nel 1903 la Cresta Occidentale della Marmolada, nel 1912 la ferrata delle Mèsules, al Piz Selva (prima del 1918 queste aree facevano parte dell’Impero austro-ungarico).
Durante il primo conflitto mondiale tra Italia ed Austria, le ferrate diventarono delle vie di comunicazione e sorveglianza lungo la frontiera che passava attraverso le Dolomiti. I corpi militari che si fronteggiavano lungo le creste ed i crinali alpini le attrezzarono in modo tale da potersi muovere in maggior sicurezza, anche se parlare di sicurezza in questi contesti risulta oggi molto difficile. Gli sforzi per proteggere la frontiera furono notevoli, le pareti vennero attrezzate equipaggiandole con scale di legno, infissi e cavi di ferro, scavando gallerie, costruendo fortilizi. I resti di tali   manufatti rimangono oggi al margine delle antiche vie ancora frequentabili a silente testimonianza degli sforzi, della fatica, del dolore e della sofferenza, del gelo e della paura patiti dai ragazzi di entrambi gli eserciti durante il conflitto. Transitando lungo questi itinerari ad un secolo di distanza, vestiti di abiti tecnici, maglie traspiranti, scarponi caldi e confortevoli non si può che rimanere stupefatti ed allibiti di ciò che venne realizzato a queste quote con i materiali dell’epoca.
Un nuovo e forte stimolo alla costruzione  delle vie ferrate venne dato dalla fine degli anni cinquanta. Nel comprensorio di Cortina sull’impulso dei giochi olimpici del 1956 vennero ripristinate alcune vie militari (Lipella, Tommaselli, Berti, Roghel, Alleghesi), e l’opera proseguì negli anni sessanta (il sentiero Dibona, Trincee, Strada degli Alpini, Il sentiero De Luca-Innerkofler). Nel 1972 fu completata la Via delle Bocchette che era stata avviata nel 1936 ad opera della SAT (Società Alpinisti Tridentini).
Vennero poi gli anni della ricerca della difficoltà, con l’intento di sviluppare attorno alle nuove vie anche un turismo di appassionati che non sempre ha dato i frutti sperati. Con questa concezione furono realizzate le vie Costantini sulla Moiazza e Stella Alpina sull’Agner. Se queste ferrate denotano ancora una certa logica, così non sembra per le vie figlie degli anni ottanta: sempre più impegnative, diminuiscono le attrezzature lasciando su pareti oltre il quinto grado (ben più adatte all’arrampicata pura) il solo cavo metallico. Spiccano il Monte Albano e la Rino Pisetta.
Dalla fine degli anni ottanta non sono state costruite nuove vie attrezzate di rilievo sull’onda delle contestazioni sollevate in particolar modo dal CAI sulle ultime ferrate realizzate che notevolmente si sono allontanate dalla concezione dei pionieri.
Le vie ferrate rappresentano una sorta di mix tra escursionismo ed alpinismo (inteso nel più stretto senso della parola)  in cui si fondono i diversi approcci alla montagna, ma al contempo si evidenziano gli aspetti comuni delle due attività e quelli unici delle ferrate stesse.
Ma cosa hanno in comune le ferrate con l’escursionismo e l’alpinismo?
Sicuramente alla base della frequentazione delle montagne ci sono gli stessi elementi.
Una buona capacità di orientamento e lettura del territorio, conoscenze tecniche, adeguata attrezzatura, utilizzo spesso degli stessi punti di appoggio (rifugi, bivacchi ecc…), senso pratico e di adattamento, fatica e sudore, ed ovviamente lei, la montagna.
In comune con l’arrampicata ci sono inoltre imbrachi e caschi (ma diversi sono i sistemi di sicurezza), nonché esperienza alpinistica in genere, un buon grado di allenamento fisico e mentale ed assoluta assenza di vertigini. Similmente all’escursionismo c’è la possibilità di poterle frequentare anche in gruppo, seppur alle opportune distanze di sicurezza: una sola persona per spezzone di cavo tra staffa e staffa in parete!
Ciò che invece differenzia maggiormente una via ferrata dalle altre pratiche montane è l’obbligatorietà della “via”, rappresentata da quel cordone ombelicale con la roccia che è il cavo di acciaio e che rappresenta l’unica assicurazione di chi frequenta la via alla quale agganciarsi. Dovendo per forza di cose rimanere “legati” al cavo ed avendo a disposizione poche decine di centimetri per potersi allontanare da esso, spesso durante la salita ci si ritrova in posizioni innaturali e difficoltose, risolvibili in maniera sbrigativa grazie alla trazione sulla fune ed un buon lavoro di bicipite… A differenza dell’arrampicata, dove conta tanto invece individuare e seguire la via migliore, quando non obbligata. Su molti manuali viene consigliato per la progressione in ferrata “di usare gli appigli naturali solitamente offerti dalla roccia in abbondanza”…quel “solitamente” è legato alle capacità tecniche di ognuno e forse ancor di più a quanto il cavo si interpone tra noi e la roccia…
E’ insita nella natura stessa delle ferrate il loro grado di difficoltà e il piacere di praticarne una dipende proprio da questo: riuscire ad apprezzare tale legame col cavo senza che diventi troppo vincolante.
Di certo la via ferrata può offrire un accesso al grandioso mondo delle pareti verticali con la possibilità di compiere notevoli traversate e concatenamenti in un buon margine di sicurezza, le esperienze e le emozioni che si possono assaporare in queste uscite possono essere intense ed uniche. Occorre però ricordare che ci si muove in ambienti dove i pericoli oggettivi possono essere molteplici (meteo avverso, condizioni della via precarie, presenza di altri escursionisti o alpinisti ecc…) e che spesso situazioni pericolose dipendono anche da noi stessi (stato fisico-mentale non ottimale, attrezzatura non adeguata, inesperienza, lacune tecniche, ecc..). Pertanto è d’obbligo cercare di ridurre al massimo questi rischi ricordando una massima che va bene per ogni stagione:”le montagne non si muovono!